Verso la fine dello scorso dicembre, diverse persone hanno sentito il bisogno di farmi sapere quanto di cosa hanno ascoltato nel corso dell’anno che stava per finire. Questa esternazione, già in voga da un po’, poteva essere ora fatta con il 100% in più di interpretazione emozionale.
La colpa era ancora una volta di Spotify, dannazione, con la sua aura musicale di fine anno e la pubblicità insistita e decibellosa alla quale i moderni esploratori della musica (?) fanno spallucce e dicono eh beh, è un po’ una rompitura sì.
0 – Apertura
C’è qualcosa di relazionale quando scelgo le escursioni in montagna. Prendo la carta topografica, la apro, ci giro lo sguardo sopra. Scendo nelle valli, risalgo verso le testate di quelle più isolate, leggo i nomi.
Nomi che hanno sapori e prospettive. Certe forme del tratteggio del cartografo invece portano seduzione e malìa. Certe tracce, che si staccano dai sentieri ufficiali e si perdono mentre tagliano versanti strani, non ti dico. Io, la carta e il disegno geografico ci scambiamo la scelta.
Solo a questo punto cerco qualche elemento descrittivo. Mentre leggo relazioni e seguo flussi di commenti, spero che la meta sia alla mia portata. Mi infilo nei forum – spesso i resoconti sono antiquati, meglio interpolarli con qualcosa di più recente.
Alle volte, non c’è.
Poi sono nella neve fresca, le ciaspole affondano, l’aria è un cristallo perfetto, un fluido affilato. I rami degli abeti sono batuffoli di neve, il cielo è plumbeo, i resti di una casermetta della guerra sembrano fatti di spugna. Sfilo la carta dal tascone dei pantaloni, tento di capirmi. Ho avuto quello che ho cercato.
1 – I limiti dell’intenzione
Chiacchiero con Silvia. Speculiamo su come Spotify avrebbe potuto classificare i miei ascolti.
Data la predominanza schiacciante tra le mie preferenze di musica fracassona, l’algoritmo probabilmente mi avrebbe appioppato un’aura tipo “aggressione depressione”. Facendo così – allo stesso modo in cui lo farebbero quei poveri di spirito per cui se giochi ai videogiochi violenti sei giocoforza un violento – avrebbe perso la quantità strabiliante di nuance che formano il mio modo di vivere la musica.
Non solo: si sarebbero persi anche gli intenti diversi.
La musica è un’esperienza assolutamente personale, capace di toccare corde emotive che eccetera. Per tentare di capire cosa succede quando lo spostamento dell’aria ordito dalle esperienze che i musicisti riescono a infilare nei loro strumenti e poi, distillate, a spremerle fuori – quando questo spostamento d’aria passa attraverso la ghiandola della musica, e questa ghiandola scatena nel cervello dopo le sue raffinate elaborazioni quello che scatena, il tutto è talmente incomprensibile da avvicinarsi al Mistero della Vita: da esserne una delle miriadi di emanazioni. Perché allora, per avvicinarci al Mistero Stesso della Vita, non ci diamo dentro di algoritmo?
Lui le sa, le cose: fidati. Lascialo semplificare, triturare, riassumere. Statistica di durata, classifichette, due sostantivi, et voilà: il Mistero della Vita è servito.
Come avrebbe potuto quindi l’algoritmo coniugare la predominanza nel mio lettore mp3 di brani Brutal Technical Melodic Thrash/Death Metal con influenze Black e Neoclassiche, con quelli che scherzosamente chiamo i miei guilty pleasure musicali? Come far rientrare nei due sostantivi questa parte del mio credo musicale: “io sono death metal, ma uno dei pezzi più importanti di sempre è Just Another Story di Jamiroquai, punto?”
Come potrebbe capire Spotify che il momento per me più musicalmente denso di questi mesi sia avvenuto ascoltando Watermelon in a Eastern Hay: metaforicamente un accecante lento salvifico primordiale spiraglio di luce nel fitto della giungla popolata di omacci minacciosi in maglietta nera e jeans attillati che berciano di alieni interdimensionali e corpi chirurgicamente straziati nella quale quotidianamente mi muovo (con le orecchie)?
“Scusami allora: la tua aura musicale è bipolarismo violenza. Se credi di aver bisogno di aiuto”, segue il quel netto bussare alla porta, FBI open up.
2 – 16 anni
A sedici anni, mio cugino mi regala un libricino dalla copertina blu. È Finzioni, di Borges. Me lo regala principalmente per il racconto La biblioteca di Babele: uomini con un che di monastico che vagano all’interno delle infinite sale esagonali di una biblioteca universale, alla ricerca impossibile del libro contenente la Verità.
Il racconto è mandatorio, non si scappa.
Per il Davide che fino a quel momento ha letto soltanto tutto Lovecraft e molto Stephen King, inizia una fruttifera, vitale, bellissima attività di Collegamento.
Ma la cosa importante è un’altra. C’è stato un momento – qualche eterno minuto prima che tutto diventasse agevole, proposto, servito, e troppo – che La Ricerca di Cose Interessanti avveniva in notti strane di una strana febbre, seguendo improbabili percorsi lungo i quali, come i monastici di Borges, si aprivano libri presi da mensole ingolfate (indirizzi web, discografie, video) sperando di trovarci Qualcosa di Notevole e Importante.
Spesso lo si trovava.
Alle volte, il Qualcosa di Notevole e Importante sfuggiva, e aprivamo un libro (web, discografia, video) che risultava illeggibile. Strana notte, di strana febbre.
La cosa illeggibile sarebbe diventata pane quotidiano anni dopo.
3 – Il rischio di dire no, non ora
Poso l’occhio su uno scritto che mi spiega come uno dei parametri con i quali Spotify decide se includere un nuovo suggerimento tra le cose che ti piacciono, sia l’uso dello skip.
La motivazione: se lo salti, non ti interessa.
Significa che l’algoritmo potrebbe elidere Painkiller dei Judas Priest dalla mia playlist solo perché in quel momento, con quella predisposizione d’animo, dopo un certo micro avvenimento quotidiano, sotto un certo allineamento degli astri e con la kirkegaardiana fastidiosissima (ma momentanea) pagliuzza nell’occhio da risolvere, non ho voglia di introduzioni di doppia cassa a tappeto.
Rettifica: non ho voglia della più bella e iconica introduzione eccetera di sempre.
La salto uguale non mi interesserà mai più. Bón.
4 – Alcuni contenuti sono più contenuti di altri
Ho anche notato che si sta mettendo pericolosamente sullo stesso piano la fruizione di [non uso il termine “cose d’arte”] con il consumo di contenutini mangiatempo. Lo leggevo a riguardo di un certo social, ma comunque.
Se vuoi, è il passaggio tra l’ascoltare un album intero perché lo metti tu sulla piastra del giradischi VS sentire un singolo in versione radio edit perché la radio te lo sta passando.
Attivo contro passivo. L’homo faber del suo destino contro le mie amate metaforiche oche del foie gras.
Sono sempre stato un democratico, da questo punto di vista. Adoro il concetto per cui nella Wikipedia – e nell’internet buono e non filtrato in genere – una pagina su Napoleone e una su un qualche fatto misconosciuto della Prima Guerra Mondiale hanno lo stesso peso della biografia di una pornostar, dell’elenco delle puntate di un anime scalcinato, della pagina su una sostanza psichedelica.
Ehi ehi: mi riferisco alle informazioni, non alle opinioni.
La cosa bella è la piega inaspettata delle cose.
Internet: Tette.
Ma io stavo leggendo del gas mostarda.
Internet: Tette lo stesso.
5 – La via di Damasco
Ho principi ferrei, formazione, consapevolezza. Ma anche mi faccio affascinare (abbindolare) dai dettagli.
Giovinetto, mi muovevo nel rassicurante Giardino dell’Eden dell’Heavy Metal: boccoli dorati, una maglietta di The number of the beast a coprirmi le pudenda, ascoltavo gli Iron Maiden, ero felice. Ad un certo punto sono uscito dal recinto, occhi curiosi, Piccolo Pippo Cucciolo Eroico con occhi meravigliati in attesa di vedere cosa potesse esserci fuori. Chissà cosa ci avrei trovato.
Ci ho trovato, sui banchi di un negozio di dischi, la copertina di Low dei Testament. Comprato, infilato nel lettore, preso paura. Anni dopo, è la quotidianità di quando voglio qualcosa di aggressivamente morbido.
Poi sto camminando tra le aule della facoltà di Lettere, King e Lovecraft a farmi da posse letteraria, Borges giusto discosto. Incontro sulle ampie distese del piano di studi l’esame di Letteratura Italiana da non frequentante, parto non so perché da Poliziano – il king di un certo modo di fare collegamenti – BOOM: si apre un mondo.
Ecco: si apre un mondo.
Il fatto è che la realtà non è una, né tantomeno è la nostra. Le realtà sono mondi che aspettano di essere scoperti, saggiati, esplorati. È rassicurante, che esistano mondi così tanti e così diversi tra loro.
La cosa bella? Che le cartografie già redatte dagli esploratori che sono venuti prima di te non valgono. Hai da aprire piste, classificare piante, bivaccare nella wilderness e prendere appunti nel quadernetto prima che un sonno inquieto per i mille pericoli che si agitano oltre il flebile cerchio di luce del fuoco si impossessi di te.
6 – Seguono massime e rivelazioni.
A – Benvenuto nella comfort zone, ma hai dimenticato le chiavi
Sono anni che tutti carteggiamo le palle con il concetto di comfort zone. Parlare dell’uscirne piace davvero a tutti, è irrinunciabile. Poi, tutti – anche gli insospettabili – cosa fanno? Godono degli algoritmi che ti propongono cose che ti potrebbero piacere anche.
Quando scelgono un film. Una serie tv. Un disco. Una singola canzone. Un libro. Un articolo di viaggio. Un’opera d’arte da comprare dal sito di un gallerista d’arte. Ti potrebbero piacere anche. Il match.
Tu che vuoi scrivere e-e-basta, il T9 che decide che volevi scrivere e-accentata, tu che passi oltre. Fare spallucce.
Siate dannati tutti voi, inventori di algoritmi.
Ogni volta che abdichi alla possibilità di incappare in qualcosa di diametralmente opposto a quello che stai facendo/ascoltando/vedendo/leggendo/camminando, ti stai fregando da solo.
Ed è una fregaturissima.
B – (in realtà le chiavi le hai lasciate fuori non volendo, ma volendolo)
Te lo consiglio con tutto il cuore. Lanciati davvero fuori dalla tua comfort zone, ma non fare l’errore di pensare che “uscire dalla comfort zone” sia sinonimo esclusivamente di “mi regalo un lancio con il parapendio”.
Se vuoi uscire dalla comfort zone, non te la cavi con una iniezione di adrenalina meramente fisica. Il grosso delle comfort zone ha a che fare con le altre magie che il tuo cervello può fare per te.
Ha a che fare a fine giornata con lo stare dentro il sacco a pelo, sotto le stelle, a due passi da quel rassicurante fuoco da campo.
C – Inguàiati
Inguaiati. Con una rete di sicurezza, ma inguaiati. Che vuol dire fare cose che si trovano giusto al di qua della legalità. Ma anche inguaiati con te stesso. Non avere paura di spaventarti perché un libro scava troppo a fondo e non ne sei abituato. Non avere paura di spaventarti perché la scorciatoia è sì più corta, ma mi hanno detto che tira dannatamente in salita. Non avere paura di spaventarti perché dopo una vita di radio-friendliness e cagate mezzo-latine, ti trovi d’improvviso George Corpsegrinder Fisher a urlarti nelle orecchie il ritornello di Hammer Smashed Face.
Choose life, sempre sia lodato Irvine Welsh. Choose life, e non le cose smorza-cervello e schiaccia spirito da fare dal divano.
D – Il Segreto del Saggio
Il Segreto del Saggio è che per il 99.5% quelli che definisci “contenuti” non lo sono nemmeno, “contenuti”.
E – Esplora
Non sei poco allenato, non sei cagionevole, non soffri il freddo, non ti spaventano la chitarra distorta, non hai paura della gente che urla (nelle canzoni) né dei tempi dispari, non hai paura di stare da solo, non temi la noia, non è vero che non sapresti fare traccia, riconoscere le piante, accendere il fuoco, dormire nel sacco a pelo.
È solo che hai smesso di esplorare.
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